Tutti identificano la clownterapia con Patch Adams, ma pochi sanno che questa forma di volontariato è nata tra gli anni ’80 e ’90 in Canada e Nord America» spiega Ugo Gravante, clown Bischerotto, presidente dell’associazione Chi Ama La Sicilia.
Era il 1986 quando il clown professionista Michael Christensen fondò a New York insieme al collega Paul Binder “The Clown Care Unit“, la prima unità speciale di clown dottori.
Certo, l’attività di Hunter Doherty Adams (alias Patch Adams), e soprattutto il film comico a lui dedicato che ha fatto conoscere in tutto il mondo la sua tecnica di umanizzazione delle cure grazie ai sorrisi portati in corsia, «ha dato la spinta alle associazioni già attive nel settore di ampliare il loro raggio d’azione e portare il circo anche all’interno degli ospedali».
Clown di corsia in Sicilia
Oggi sono migliaia i volontari che dedicano il proprio tempo libero a rallegrare i pazienti ricoverati in ospedale. Sono riuniti in associazioni spesso federate in organizzazioni nazionali e internazionali: una delle realtà regionali più importanti è Chi Ama La Sicilia costituita nel 2010 a Palermo.
Come si diventa volontario
«Non occorre essere attori o artisti circensi: ciò che conta è essere predisposti al sorriso, essere allegri, pensare positivo e avere tanto buonumore» racconta clown Bischerotto. Anzi, meno si sa fare meglio è: «perché si ride di più delle proprie mancanze».
Ogni associazione ha il suo metodo per formare i clown che andranno ad animare i reparti in ospedale. «In generale, però, si prevede una prima selezione e un corso di formazione (in genere di tre giorni) in cui i nuovi volontari fanno conoscenza tra loro e con i clown più vecchi e mettono in pratica i primi elementi di clownerie e di improvvisazione».
È anche il momento in cui i clown scelgono il loro nome d’arte, «pseudonimo che spesso usiamo senza nemmeno conoscere i nostri nomi di battesimo».
La formazione continua
Come detto, ogni organizzazione ha un proprio modo di gestire i volontari. «In Chi Ama La Sicilia da gennaio, punteremo molto sulla formazione continua: finito il corso iniziale, prevederemo due incontri obbligatori mensili in cui si continuano a mettere in pratica e perfezionare sviluppare le “materie” di insegnamento del corso: ad esempio, facciamo simulazioni di interventi in ospedale e insegniamo alcune arti circensi».
In queste occasioni si parla anche molto di come affrontare i rifiuti che possono capitare durante le visite in ospedale: «esperienze che possono essere difficili da affrontare per chi ha deciso di intraprendere questo percorso».
Due o tre volte all’anno faremo poi incontri di formazione di secondo livello in cui si affrontano temi specifici: «incontriamo operatori sanitari, psicologi, ma anche attori, improvvisatori o professionisti clown».
I clown in ospedale
«Generalmente, i clown si danno appuntamento fuori dalla struttura prima di iniziare il servizio. Poi, per questioni di igiene, ci cambiamo all’interno dell’ospedale e indossiamo il nostro camice che ci distingue dai visitatori, ma anche dai membri del personale medico. Ci trucchiamo in modo leggero e ci distribuiamo per i vari reparti indicati dalle direzioni sanitarie».
È importante sottolineare che i clown non entrano mai da soli in una stanza, ma “lavorano” sempre in gruppi di due-tre volontari. E i clown “giovani” sono sempre accompagnati da quelli che hanno più esperienza.
«Poi si improvvisa: ognuno ha il suo cavallo di battaglia, ma in genere si comincia scherzando con i pazienti e conquistando pian piano la loro fiducia facendoli divertire».
Si tratta di interventi di pochi minuti, «ma bastano per trasformare una grigia stanza di ospedale in un mondo magico e divertente, dissipando la noia che colpisce i pazienti e i loro accompagnatori soprattutto durante il weekend, quando ci sono meno visite e quando in genere siamo attivi noi».
Non solo in pediatria
I clown di corsia sono conosciuti soprattutto per il loro lavoro con i bambini. «Operiamo però anche in molti altri reparti: per entrare in quelli più critici, come oncologia, alcune associazioni prevedono un periodo più lungo di formazione per i volontari».
La clown terapia viene poi portata dai volontari anche al di fuori dell’ospedale, come nei centri di cura e riabilitazione per anziani, nei centri dedicati ai diversamente abili, nelle carceri o negli hospice.
Come sostenere la clownterapia
«Bisogna stare attenti ai clown “tarocchi”, che truffano chi vuole aiutarci. Per essere sicuri che una donazione vada a buon fine, è bene utilizzare lo strumento del 5×1000 nella dichiarazione dei redditi oppure effettuate delle donazioni dirette».
Ad eccezione della Giornata del Naso Rosso, che si svolge ogni anno la terza domenica di maggio, i volontari non chiedono offerte in strada o porta a porta.
Effetti positivi della clownterapia
Negli anni si sono moltiplicati gli studi sugli effetti benefici dell’attività svolta dai clown di corsia. Uno studio del 2005 condotto dai ricercatori dell’Ospedale pediatrico Meyer di Firenze e pubblicato sulla rivista “Pediatrics” ha evidenziato che è possibile quasi del 50% l’ansia dei bambini sottoposti a intervento chirurgico grazie all’intervento dei clown.
Nel 2010 la ricerca “Influenza del clown dottore sulla percezione del dolore, la somministrazione di analgesici e le complicanze post operatorie dei bambini ricoverati presso il reparto di Chirurgia pediatrica dell’ospedale San Camillo di Roma” è riuscita a dimostrare che la visita dei clown ha ridotto le complicazioni post operatore e ha anticipato di un giorno la fine del periodo di degenza.
Negli anni, la letteratura scientifica non ha smesso di occuparsi della materia: uno degli studi più recenti è quello condotta presso il Royal Children’s Hospital Melbourne e pubblicato nel 2018, in cui si sottolinea l’efficacia della clownterapia e si suggerisce, a partire da questa evidenza, la necessità in generale di un approccio più incentrato sulla persona all’interno delle strutture sanitarie.
Perché ridere fa bene
L’intervento dei clown in corsia appositamente formati avrebbe dunque effetti molto positivi sul sistema immunitario e sulla mente dei pazienti. Il merito sarebbe delle endorfine, prodotte dal nostro corpo quando siamo di buonumore e ridiamo, che sono in grado di attenuare il dolore e l’ansia. Un meccanismo virtuoso che coinvolge anche mamma e papà: se i genitori vedono il loro bambino più sereno, a loro volta si tranquillizzano.
Da questi presupposti è nata addirittura una nuova disciplina: la gelotologia, cioè la scienza che studia le potenzialità terapeutiche del buonumore e del pensiero positivo.
Chi ama la Sicilia associazione no profit volontariato